Recensione di Jolanda Di Virgilio tratta da Il libraio (https://www.illibraio.it/un-affare-di-famiglia-recensione-876562/#)
Un uomo e una donna che non possono avere figli rubano bambini e li trasfigurano, crescendoli come se fossero propri nella casa di una vecchia donna, anche lei ladra e truffatrice.
Se si leggesse la trama di Un affare di famiglia, il nuovo film del regista giapponese Kore-eda Hirokazu, vincitore della Palma d’oro di Cannes 2018, si penserebbe a una notizia raccontata dai media. Eppure, nella trasposizione cinematografica, quello che normalmente verrebbe considerato un crimine da condannare, appare come un gesto dolce e pieno d’umanità.
Al centro della vicenda c’è una famiglia che, durante il corso del film, si scopre non essere esattamente tale (almeno non nel significato tradizionale del termine): ci sono una nonna, un papà e una mamma, ma non ci sono legami di sangue. Ci sono due bambini che vengono chiamati figli, ma che in realtà sono stati rapiti o, meglio, trovati per caso e accolti. A loro, gli adulti non hanno molto da insegnare, forse solo qualche trucco per rubare nei supermercati e scappare via. Infatti, il titolo originale, Shoplifters, ovvero “taccheggiatori”, si riferisce proprio alla principale attività di sostentamento della famiglia. E anche se può apparire immorale un padre che spiega al proprio figlio che “la merce che si trova nei supermercati può essere rubata perché non è ancora di nessuno”, quando ascoltiamo queste parole ci viene inevitabilmente da sorridere, perché la particolarità del film si trova proprio nel tono con cui la storia viene raccontata.
A metà tra commedia familiare e dramma, Un affare di famiglia appartiene a un genere singolare, nel quale ritaglia il suo spazio anche il documentario, per lo sguardo con il quale il regista restituisce uno spaccato del Giappone in grave difficoltà economica. Senza esporsi in una vera e propria critica sociale (che comunque, anche solo indirettamente, emerge in modo chiaro), il film non enfatizza mai la materia trattata, rimanendo sempre sommesso, anche nel momento in cui esplode la tragedia. Perfino la giovane nipote che lavora in un peepshow e che si masturba davanti a uno specchio che nasconde i clienti che osservano dall’altra parte, diventa una linea narrativa quasi romantica.