DIALOGHI IMPERFETTI. Per una comunicazione nella vita quotidiana e nel mondo Alzheimer

Pietro Vigorelli, Franco Angeli, Milano 2021

RECENSIONE DI GLORIANA RANGONE

 

Dialoghi imperfetti

Il bel libro di Pietro Vigorelli, grande esperto del mondo Alzheimer e di certo non nuovo a riflessioni di alto livello su questo tema, presenta a mio avviso l’interessante peculiarità di poter essere usufruito e apprezzato anche da chi non è impegnato direttamente in questo ambito. Chi si occupa di malati di Alzheimer o ha comunque a che fare con persone affette da questa patologia troverà nel testo esemplificazioni e spunti di notevole interesse. Ma in questo mio commento mi piace sottolineare quanto le riflessioni di Vigorelli possano essere estese anche ad altri ambiti.

Cosa ci insegnano quindi i “dialoghi imperfetti” di cui parla l’autore?

In primo luogo, ci ricordano quanto sia importante il “principio di competenza”, focalizzato da Mara Palazzoli Selvini nello storico testo “I giochi psicotici nella famiglia” (1988) e diventato un presupposto indispensabile per tutti gli psicoterapeuti che si ispirano al modello sistemico. Chiunque ha diritto di parola, tutte le comunicazioni sono importanti, non esistono voci più autorevoli di altre. Il compito del terapeuta è quello di saper ascoltare e valorizzare le comunicazioni in qualunque forma vengano espresse.

Questa riflessione ci conduce immediatamente a un altro punto interessante, che è quello dell’importanza di andare al di là della diagnosi. Solo se ci rapportiamo all’altro come ad un essere umano, portatore di emozioni, stati di sofferenza ma anche risorse, che a volte devono essere scovate, possiamo sperare di stabilire un dialogo efficace. La diagnosi, strumento indispensabile nelle nostre professioni, può diventare, se non adeguatamente maneggiata, una vera e propria trappola che impedisce la relazione, che ci porta a dare spiegazioni stereotipate di comunicazioni e comportamenti, che uccide la nostra curiosità e il nostro interesse per l’altro, con il risultato di impedire qualsiasi dialogo.

Ricordo un primo colloquio con un giovane ventottenne che aveva alle spalle anni di psicoterapia, prese in carico psichiatriche e alcuni ricoveri per abuso di alcool e di sostanze. Giulio, così si chiamava, prese subito le redini del colloquio e iniziò a illustrarmi in modo estremamente competente le diagnosi che gli erano state fatte negli anni. Era un giovane molto intelligente che passava le sue giornate su internet e che esibiva con una certa soddisfazione le sue competenze in materia. Dopo circa mezz’ora, durante la quale mi ero limitata a prendere appunti, lo interruppi e gli dissi “Sono veramente colpita dalle sue competenze diagnostiche… ma… e se adesso parlassimo un po’ di Giulio?” Giulio spalancò gli occhi e scoppiò in una fragorosa, contagiosissima risata. E così il dialogo ebbe inizio.

Tecniche passive

Certo si potrebbe dire che non sempre le risorse dell’altro sono così presenti e non troppo difficilmente raggiungibili. A volte, come ci insegna l’Approccio Capacitante e come viene ampiamente esemplificato nel testo, l’uso di metodiche specifiche si rivela non solo utile ma addirittura indispensabile per costruire un dialogo efficace. È davvero singolare come quelle che nel testo vengono definite come tecniche passive (tacere, ascoltare, rispettare la lentezza, le pause e i silenzi, non interrompere, non correggere, non giudicare il vero e il falso, prendere in seria considerazione) da utilizzare con i malati di Alzheimer abbiano una interessante ampiezza di applicazione. Si pensi ad esempio al dialogo con i pazienti più gravi (ad esempio persone vittime di importanti esperienze traumatiche) che è possibile solo se il terapeuta è capace di astenersi dal sottolineare le contraddizioni presenti nel racconto dell’altro e di rinunciare a distinguere il vero dal falso.

Relazione

Infine, non dobbiamo dimenticare che tutte le tecniche per essere efficaci devono presupporre l’attenzione alla relazione con l’altro. Quindi i silenzi vanno accettati, il dolore condiviso e la spasmodica ricerca del che cosa fare, sicuramente comprensibile da parte di chi si trova nella posizione di dover portare aiuto, gestita e ridimensionata. E tutto questo vale anche nella vita di tutti i giorni, in cui siamo continuamente protagonisti di dialoghi inefficaci, in cui ci troviamo a fornire argomentazioni razionali, indicazioni, consigli dimenticando che in certe situazioni quello di cui l’altro ha bisogno è solo la condivisione del suo stato emotivo, la vicinanza, la capacità di attendere e di accettare che quel dialogo sarà, quasi sicuramente, imperfetto.

Questo, e molto altro, può essere rintracciato nel testo di Pietro Vigorelli la cui lettura, facile e accattivante, può rivelarsi di grande utilità non solo per chi svolge professioni di aiuto ma per quanti vogliono migliorare la loro capacità di stare in relazione con gli altri.

 

 

Gloriana Rangone, psicologa e psicoterapeuta, co-direttrice della scuola di Psicoterapia IRIS – Insegnamento e Ricerca Individuo e Sistemi – Milano