Perso nel deserto delle emozioni o sommerso da un mare di emozioni? Il funzionamento emotivo del bambino adottato* – dott.ssa Anna Visconti, psicologa psicoterapeuta CTA
Il ruolo delle esperienze
Alla sua nascita un bambino possiede già un suo bagaglio che è sia biologico che mentale: questo implica che vi è una parte del sistema nervoso che è geneticamente determinata, ma diviene “operativa” in rapporto agli stimoli ambientali. In altre parole, le esperienze interpersonali giocano un ruolo determinante nello sviluppo e nella formazione del sè durante tutta l’esistenza ma in particolare nella fase prenatale e nelle prime fasi di vita. Allo stesso modo, le emozioni nascono in funzione di processi attivati da eventi (in corso, ricordati o previsti) mediante un’attivazione fisiologica che genera una spinta all’azione e influenza i processi cognitivi. Le emozioni primarie (gioia, paura, rabbia, tristezza, disgusto, sorpresa) compaiono in forma prototipica a partire dai 3 mesi di vita e in forma più circoscritta e precisa a partire dai 6 mesi. E’ successivamente con l’insorgenza della coscienza di sè (intorno ai 15 mesi) che si sviluppano le emozioni complesse (imbarazzo, orgoglio, vergogna, colpa). In questo processo, un ruolo fondamentale è svolto dalle figure di riferimento sia nell’elicitare un’emozione sia nella non meno importante funzione di regolarla.
La regolazione delle emozioni
La regolazione delle emozioni per il primo anno di vita è prevalentemente agita “esternamente”, ossia da un caregiver. Il genitore infatti aiuta il bambino a calmarsi mediante l’eliminazione della fonte di disagio o della distrazione da essa o mediante comportamenti di conforto (carezze, contatto, tono di voce) che ha l’effetto di ridurre la frequenza cardiaca, la pressione e il cortisolo e di aumentare la serotonina e l’ossitocina. In seguito, la capacità di autoregolazione aumenta mano a mano che compaiono altre capacità, quali l’uso della parola e del movimento (gattonare/camminare) che consente al bambino di avvicinarsi o allontanarsi dagli stimoli in modo autonomo. La sperimentazione di una certa gamma di emozioni e la ripetizione predominante dell’una o dell’altra imprime un segno quasi indelebile a livello cerebrale e influenza, di conseguenza, lo sviluppo del pensiero successivo. E’ dimostrato infatti come la funzione regolatoria dei picchi emotivi da parte dei genitori assolva all’importante compito di costruzione del funzionamento del sé, agendo sullo sviluppo di reti neurali, sulla genesi di particolari risposte fisiologiche e ormonali allo stress, e sulla formazione dei modelli operativi interni – ossia quegli schemi mentali che guidano in automatico i comportamenti delle persone in risposta alle diverse situazioni. E’ infatti significativo come le emozioni sperimentate dagli stessi genitori e la loro specifica espressione emotiva offrano al bambino un’esperienza diretta di apprendimento: tale processo andrà via via intensificandosi e diversificandosi con l’aumentare dell’età del figlio proprio in funzione del conseguente ampliamento della gamma di emozioni provate e espresse dai genitori. Ad esempio, un figlio che comincia ad esplorare è un figlio che desta più preoccupazione, che può muovere sentimenti nuovi di orgoglio o al contrario di delusione. La comprensione da parte del bambino delle proprie ed altrui emozioni avviene mediante l’attivazione dei neuroni specchio: in altre parole noi tutti comprendiamo l’altro perchè condividiamo la stessaattivazione neurale. Tale processo, come abbiamo visto, comincia sin dalle prime fasi dello sviluppo e continua fino a raggiungere la sua massima espressione in adolescenza, quando avviene il raggiungimento della piena comprensione cognitiva.
Le peculiarità dell’adozione
Appare quindi evidente come, nel raggiungimento di queste tappe di sviluppo, l’aver sperimentato caregiver “insicuri” in termini di codifica, rispecchiamento, contenimento e regolazione emotiva, abbia inevitabilmente una conseguenza diretta sulle caratteristiche del funzionamento emotivo del bambino. Allo stesso modo la costruzione di nuove relazioni, in particolare di quelle con i genitori adottivi, non può non essere influenzata dai modelli di attaccamento pregressi, formatisi all’interno di relazioni precedenti, spesso drammaticamente carenti e distorte. Riconoscere in modo rapido le caratteristiche della propria figura di attaccamento – ossia la persona riconosciuta più forte e più saggia e identificata come quella maggiormente in grado di garantire la sopravvivenza – è parte di una prima forma di adattamento all’ambiente da parte del bambino. Mantenere le distanze e mostrarsi autonomo verso un caregiver incline a provare fastidio o a deridere le richieste di aiuto consente al bambino di non rischiare di rompere la relazione e di assicurarsi la protezione nel caso in cui il pericolo aumenti. Non elaborare le informazioni di paura e spavento conseguenti da situazioni di maltrattamento e/o mostrarsi aggressivo consente di sopravvivere a queste situazioni di paura “irrisolvibile.” In contesti di crescita caratterizzati da deprivazione e maltrattamento, la reazione di ipervigilanza, la resistenza a ricevere conforto, i comportamenti di eccessiva disinibizione sociale, i disturbi della condotta, la tendenza ad attaccamenti indiscriminati sono, in primo luogo, modalità che assicurano la sopravvivenza nei contesti in cui la fuga è bloccata. Questi comportamenti sono però anche identificabili come indicatori di disadattamento e influenzano nei bambini le modalità di stare nelle relazioni future. Le esperienze negative del passato possono far sì che alcuni bambini caratterizzati da strategie più evitanti instaurino con i genitori adottivi una relazione basata su una profonda sfiducia e un atteggiamento introverso, poiché ritengono gli adulti non in grado o non disponibili a comprenderli. Altri bambini – più su un registro ambivalente – possono aspettarsi in modo irrealistico ed eccessivo, in maniera indiscriminata e acontestuale, quello che non hanno mai avuto. E’ come se le modalità relazionali apprese nel passato fossero caratterizzate da una fisiologica tendenza a riproporsi simili nel tempo, in particolare nei passaggi evolutivi che richiedono il raggiungimento di nuove tappe di sviluppo. Per fare qualche esempio, possiamo trovare bambini che mettono in atto modalità relazionali caratterizzate da eccessiva autonomia nella ricerca di soluzioni o di sicurezza e, d’altro canto, bambini che hanno comportamenti regressivi finalizzati a ricevere le risposte dell’adulto che ha cura di loro.
La riparazione
Per tutti i bambini che hanno sviluppato modelli operativi interni distorti, l’adozione e la nuova relazione che si crea con i genitori adottivi assumono una funzione riparativa. Per questo motivo per i genitori risulta indispensabile dotarsi di corrette chiavi di lettura per leggere i comportamenti del proprio figlio alla luce della storia passata e degli eventi attuali che possono attivare comportamenti distorti. La sicurezza affettiva è legata alla tranquillità data dal non doversi preoccupare delle emozioni che si provano, qualunque esse siano. Quando un bambino vive in un contesto che lo fa sentire sicuro da questo punto di vista, ha una maggior disponibilità emotiva ad esplorare la propria storia e con essa anche i contenuti dolorosi intrinsechi ad essa. Aiutare il proprio figlio a ri-esplorare la propria storia, invitandolo a parlare delle sue esperienze precedenti, può portare ad un cambiamento del modelli operativi interni attraverso la riattivazione di quelle emozioni che erano state bloccate o revisionate. Sentirsi riconosciuti sentimenti come la rabbia, la disperazione o la protesta sottostanti le situazioni connotate da perdita, sentimento di rifiuto e di abbandono, significa per il bambino, prima di tutto, riconoscere a se stesso le proprie paure e il proprio bisogno di essere confortato. E in secondo luogo, apre la possibilità di modificare le strategie comportamentali apprese dalle esperienze negative vissute in passato a favore di nuove strategie più funzionali al nuovo contesto di vita.
Riferimenti Bibliografici:
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Siegel D.J. (1999), La mente relazionale. Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001.
Vadilonga F (a cura di ), Curare l’Adozione, Franco Angeli, Milano, 2010
*Articolo scritto in occasione di una serata di Adoption Cafè organizzata da Mehala Families for children il 28 settembre 2018.